Alle Sezioni Unite la nuova disposizione sul ne bis in idem
di Andrea Gaeta e Lorenzo Romano
Nella sentenza n. 3800 del 14/02/2025 la Cassazione aveva stabilito, all’esito di un articolato (ma non sempre persuasivo) ragionamento, che la nuova norma sul ne bis in idem, ossia l’articolo 21-bis del Dlgs n. 74/2000, non riguarda l’imposta accertata ma le sole sanzioni amministrative.
La pronuncia, già oggetto di nostre brevi note “a prima lettura”, è stata accolta in maniera generalmente critica, sia qui su Blast (si vedano gli articoli di Andrea Carinci e di Alex Ingrassia) che altrove (si veda l’Editoriale di Alberto Marcheselli sulla Rivista telematica di diritto tributario dell’1/03/2025, ove – tra l’altro – si confuta la pericolosa idea secondo cui l’efficienza del sistema tributario sarebbe assicurata solo da una maggior facilità di accertamento dell’evasione, rispetto allo standard dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” proprio del processo penale).
Trascorsi nemmeno venti giorni, con l’ordinanza interlocutoria n. 5714 del 4 marzo la sezione tributaria ha sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite. L’occasione è fornita da una contestazione di omessa compilazione del quadro RW; in sede penale, le contribuenti erano state prosciolte per intervenuta prescrizione per alcuni anni (e qui è pacifico che la novella non operi) ma assolte per altri, sebbene con formula dubitativa in virtù della contraddittorietà della prova (nel caso di specie, della residenza in Svizzera).
Dopo aver preso atto del «diritto vivente» (così l’ordinanza) sull’efficacia temporale della nuova disposizione, che riguarda anche le assoluzioni pronunciate prima del’1/09/2024, vengono rimesse alle Sezioni Unite due questioni: da un lato si tratta di comprendere se l’assoluzione dibattimentale irrevocabile riguardi anche l’accertamento delle imposte, o soltanto le sanzioni; dall’altro, se quale sia l’efficacia tributaria dell’assoluzione per insufficienza e contraddittorietà della prova.
Preliminarmente, la Cassazione riassume lo “stato dell’arte” prima dell’intervento normativo. Nell’ordine, richiama l’abbandono della cd. pregiudiziale tributaria ed il sistema del “doppio binario”; rappresenta i limiti (nel processo tributario) in materia di prova posti dall’articolo 7, comma 4, del Dlgs. 546/1992 ovvero il rilievo probatorio (in materia di determinazione del reddito d’impresa) delle presunzioni semplici, ricordando che il giudice tributario (prima della recente riforma) doveva verificare la rilevanza del materiale probatorio acquisito nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare; ed infine rileva l’inammissibilità (articolo 372 c.p.c.) della produzione della sentenza penale nel giudizio pre-riforma in Cassazione.
Sulla prima questione, ovvero gli effetti del giudicato penale di assoluzione nel giudizio tributario, la Corte ravvisa «due non conciliabili orientamenti».
Il primo (anche in ordine di tempo), che riconosce l’efficacia del giudicato penale anche ai fini dell’accertamento del presupposto impositivo, pone l’accento sugli «stessi fatti materiali», attribuendo «valore extra-penale agli accertamenti di fatto che, presenti i requisiti prescritti dell’articolo 21-bis cit., “fanno stato” nel giudizio tributario». Viene, così, valorizzato il «il principio di non contraddizione e di coerenza del sistema», posto che nessuna dualità esiste sul piano fenomenico.
Il secondo (più recente, e non limitato alla sola sentenza 3800/25, ma seguita da altre quattro pronunce del medesimo collegio), che «opera una lettura riduttiva della novella legislativa», che esplicherebbe i suoi effetti esclusivamente con riguardo alle sanzioni irrogate, mentre con riguardo all’imposta la sentenza penale, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi, continuerebbe ad essere una possibile fonte di prova, autonomamente valutabile dal giudice tributario unitamente agli altri elementi, come avveniva prima della riforma.
Detta ultima tesi individua la ratio della riforma «esclusivamente nella finalità di razionalizzazione del sistema sanzionatorio penale e tributario vigente, mediante la loro integrazione, nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem», volendo anticipare gli effetti della deducibilità della pronuncia penale al giudizio di cognizione, e non solo alla successiva fase riscossiva.
Per ciò che attiene alla seconda questione rimessa all’esame dalle Sezioni Unite, vi è una consolidata giurisprudenza, sia delle sezioni civili che del Consiglio di Stato, secondo cui l’assoluzione, per esplicare efficacia extrapenale, deve accertare in maniera “effettiva e specifica” l'insussistenza del fatto o la mancata partecipazione dell'imputato (e quindi, in altri termini, deve essere “piena”).
Nelle nostre precedenti note “a caldo” avevamo osservato come tale indirizzo, richiamato da Cass. n. 3800/2025 a supporto della soluzione adottata, potesse tutt’al più suggerire un’interpretazione restrittiva della nozione di assoluzione rilevante ai fini tributari, ma non fosse idonea a giustificare la perdurante vigenza del doppio binario.
L’ordinanza interlocutoria richiama l’indirizzo tradizionale, dal quale si sono discostate – senza particolari approfondimenti – le prime pronunce sull’articolo 21-bis, ma vi aggiunge un’obiezione. Si afferma, infatti, che l’articolo 21-bis è una disposizione autosufficiente che, così come esclude l’efficacia dell’assoluzione “piena” in sede di giudizio abbreviato, e non considera la diversità dei diversi mezzi di prova esperibili nei due processi, consapevolmente non opera distinzioni tra le formule assolutorie.
Quale sarà, allora, la decisione delle Sezioni Unite?
Potrebbe trattarsi di una soluzione “mediana”. Da un lato, infatti, potrebbe essere confermato che l’assoluzione penale “fa stato” nel processo tributario sia per l’accertamento dell’imposta che per le sanzioni, riconoscendo l’intenzione del legislatore delegante di porre fine al sistema del doppio binario, assicurando il rispetto del ne bis in idem nella duplice accezione sostanziale e processuale in conformità ai principi CEDU.
Dall’altro, enfatizzando il requisito dell’identità dei fatti materiali accertati, si potrebbe concludere che nel giudizio tributario rileva solo l’assoluzione con formula piena. A questo punto, però, bisognerebbe riconoscere l’interesse del condannato a impugnare per ottenere la modifica della formula assolutoria, cosa che sin qui la Cassazione ha sempre escluso (Sez. VI penale, n. 49554/2018 e 10896/2023; Sez. III penale, n. 51445/2016).
È una conclusione obbligata, che però è assai dubbio che il legislatore abbia messo in conto. Ecco, così, che acquista rilevanza la considerazione dell’ordinanza interlocutoria secondo cui l’articolo 21-bis è una disposizione completa, che si accontenta di un accertamento negativo in merito alla sussistenza dei fatti materiali, e non richiede un accertamento positivo della loro insussistenza.