Incompatibilità del presidente del CdA: il CNDCEC adotta una valutazione più attenta del caso concreto
di Giacomo Monti
Di recente, la Cassazione, con l’ordinanza n. 5318/2025 è tornata a riaffermare il proprio orientamento, secondo cui è da escludersi la compatibilità tra la figura del socio lavoratore di una società di capitali e quella di amministratore unico della medesima società. Tale orientamento, secondo la Suprema Corte, si estenderebbe anche alla figura del presidente del Consiglio di amministrazione.
Ad avviso della Cassazione, infatti, il cumulo, nella stessa persona, dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina dello stesso rende impossibile quella distinzione tra le parti - amministratore e lavoratore - e delle relative attribuzioni, necessaria per poter configurare il requisito essenziale e indefettibile della subordinazione. La prestazione lavorativa, anche se svolta ai livelli più alti dell’organizzazione, e il ruolo di amministratore si collocano su piani giuridici distinti: così, per la Cassazione, non può esistere un vero vincolo di subordinazione laddove chi svolge l’attività lavorativa è anche titolare della rappresentanza sociale e del potere di direzione e controllo.
Nell’affermare tale principio, tuttavia, la Corte dovrebbe considerare - a parere di chi scrive - caso per caso quali sono le deleghe effettivamente attribuite al presidente del CdA e verificare se queste, in effetti, consentano l’esercizio di un potere autonomo di direzione e controllo.
È abbastanza paradossale, sempre secondo chi scrive, che questa verifica debba effettuarsi solo nel caso dell’amministratore delegato e non anche in quello del presidente del Consiglio di amministrazione, per il quale, ad avviso sempre della Cassazione, opererebbe una sorta di presunzione, fondata sulla rappresentanza legale di cui lo stesso presidente è investito ai sensi del Codice civile e dello statuto sociale. La Cassazione non considera, però, che il presidente del CdA, se sprovvisto di poteri di delega, opera e agisce solo in funzione di decisioni collegiali dell’organo amministrativo e non di decisioni adottate in forma individuale.
Una più attenta valutazione si ritrova, invece, nell’orientamento che il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha espresso – ancorché su un altro piano - con la risposta del 25 febbraio 2025 in merito alla definizione delle regole di incompatibilità tra l’esercizio della professione e lo svolgimento dell’attività d’impresa.
Al riguardo, merita di essere evidenziato il fatto che il Consiglio Nazionale, dopo avere confermato che lo status di socio di una società di capitali è compatibile con l’esercizio della professione - non coincidendo tale status con l’attività d’impresa - osserva che l’assunzione, da parte del professionista, della duplice veste di socio e amministratore costituisce un elemento rilevante ai fini della verifica dell’incompatibilità.
È interessante notare che, nell’effettuare la suddetta verifica, il Consiglio Nazionale valuta concretamente però quali poteri gestionali siano effettivamente attribuiti al professionista iscritto all’Ordine.
In tal senso, il CNDCEC, privilegiando la prevalenza della sostanza sulla forma, afferma che l’unica condizione che potrebbe fare ritenere compatibile l’attività professionale con il ruolo di presidente del CdA è che tutti i poteri, di gestione ordinaria e straordinaria, siano esercitati congiuntamente con gli altri amministratori. In tale ipotesi, infatti, l’incompatibilità potrebbe essere esclusa proprio perché la persona non esercita, in concreto, un potere decisionale autonomo nella gestione societaria.
Occorre, di fatto, in sostanza, verificare i concreti assetti societari in riferimento alla modalità di esercizio dell’amministrazione congiunta.
Chi scrive condivide quindi totalmente la linea di pensiero espressa dal CNDCEC e auspica che una simile valutazione possa, nel tempo, essere accolta anche dalla Cassazione anche per quanto riguarda la figura di socio lavoratore e presidente del CdA; ciò al fine di evitare che presunzioni ingiustificate - come quella fondata sulla sola qualifica di presidente del CdA - comportino conseguenze altrettanto ingiustificate, come, tra l’altro, l’indeducibilità fiscale della retribuzione corrisposta al socio lavoratore.