La Corte EDU non è più disposta ad aspettare il legislatore tributario italiano
di Alberto Calzolari
Oggi, 6 febbraio 2025, la Corte EDU ha mandato un segnale fortissimo alle Autorità italiane, responsabili dell’ordinamento tributario, dunque al potere legislativo, esecutivo e giudiziario: non è più disposta ad attendere ulteriori riforme per verificare il rispetto della CEDU. Il tempo è adesso.
Nella Causa Italgomme Pneumatici Srl et alii v. Italia, la Corte EDU ha riunito 13 ricorsi ed ha emesso una sentenza di condanna del nostro Paese, a causa dell’illegittimità degli accessi domiciliari eseguiti al fine di condurre le verifiche fiscali. In tutti e 13 i ricorsi la Corte EDU ha riscontrato la violazione dell’art. 8 della CEDU (che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare), a causa dell’assenza di una base legale, ossia del requisito della riserva sostanziale di legge.
La Corte EDU non si è limitata a riscontrare la violazione e a disporre un indennizzo monetario per tutti i ricorrenti (relativamente ai danni morali patiti a causa dell’accesso illegittimo), ma ha anche imposto all’Italia di cambiare la normativa (procedurale e processuale), in modo da conformarsi alla giurisprudenza costante della Corte EDU in materia di accessi, da parte dello Stato, nel domicilio e nella corrispondenza dei cittadini amministrati.
La sentenza odierna anzitutto elimina un equivoco di fondo del nostro ordinamento: anche la sede delle società commerciali, la sede degli Studi professionali, la sede dell’attività di imprenditori e lavoratori autonomi (oltre all’abitazione) costituiscono il domicilio delle persone e rientrano a pieno titolo nel cono protettivo disegnato dall’art. 8 della CEDU. Non hanno dunque ragione di esistere i differenti regimi di autorizzazione disciplinati dall’art. 52 del Dpr n. 633/1972, che nell’ordinamento tributario è utilizzato come modello per lo svolgimento delle verifiche non solo per l’Iva ma anche per le altre imposte. I 13 ricorsi oggetto della sentenza in esame riguardano, infatti, (quasi) tutte le tipologie di svolgimento di attività economiche, e afferiscono ad accessi effettuati sia dai militari della Guardia di Finanza sia dagli operanti dell’Agenzia delle Entrate.
Ebbene, in tutte le fattispecie esaminate la Corte EDU ha riscontrato le medesime violazioni, in sintesi estrema così enucleabili:
a) le autorizzazioni all’accesso sono emanate con un atto privo di motivazione in ordine all’ampiezza della verifica e agli elementi di prova da ricercare;
b) anche se le autorizzazioni recano l’obiettivo di controllare la regolarità tributaria di determinate annualità, nel corso delle ispezioni sono esaminati e sequestrati documenti di ogni tipo (non solo quelli obbligatori per legge) e relativi anche ad annualità diverse da quelle specificate nell’autorizzazione;
c) il contribuente è tenuto a collaborare, essendo altrimenti comminate sanzioni sia di tipo monetario sia di altro genere (vedi la preclusione probatoria dei documenti non prodotti in sede di verifica);
d) l’assenza del controllo giurisdizionale, ossia di un controllo giudiziario sia ex ante, sia nel corso della verifica, sia ex post.
La Corte EDU ha dunque ritenuto del tutto inadeguato l’attuale sistema fondato su di un semplice ordine di servizio, ed ha ritenuto del tutto inadeguato l’attuale assetto del controllo giurisdizionale ex post, poiché:
1) la tutela differita che può essere offerta dal giudice tributario è solo eventuale (non vi sono certezze circa il fatto che alla verifica faccia seguito un atto d’accertamento da impugnare), è limitata nell’oggetto (il domicilio è “sacro”, la tutela non può consistere nel solo annullamento dell’accertamento), e non è tempestiva (possono passare anche degli anni tra l’accesso asseritamente illegittimo e l’emissione di un atto di accertamento);
2) la tutela che può essere offerta dal giudice civile è esperibile solo in alternativa all’impugnazione davanti al giudice tributario e, in ogni caso, la Corte EDU ha ritenuto il rimedio del giudice ordinario non sufficientemente dimostrato dal Governo italiano, quindi privo del requisito dell’effettività (anche perché: come controllare la legittimità di un atto di autorizzazione privo di motivazione sostanziale?).
Se queste sono le violazioni riscontrate, la Corte EDU trasmetterà la sentenza in esame al Comitato dei Ministri (del Consiglio d’Europa) affinché verifichi i cambiamenti normativi che l’Italia è chiamata a intraprendere, sia sul piano del contenuto e della motivazione dell’autorizzazione all’accesso, sia sul piano della impugnabilità di quest’ultima, davanti a un giudice in grado di assicurare una tutela effettiva, quindi con piena cognizione in fatto e in diritto e con il potere di stabilire un indennizzo adeguato al danno che i contribuenti subiscono con la violazione del diritto alla protezione del domicilio e della riservatezza della corrispondenza.
Appare evidente l’importanza fondamentale della pronuncia della Corte EDU, che suona come una solenne bocciatura dell’attività del legislatore italiano, anche sull’ultima “grande riforma” tributaria, dell’attività della GdF e dell’AdE, e della giurisprudenza delle Corti italiane, specie della Cassazione, certamente rimasta troppo passiva nell’assecondare norme e prassi delle verifiche fiscali, nonostante fossero in palese contrasto con gli insegnamenti della giurisprudenza della Corte EDU (si rammenta che il leading case sugli accessi presso la sede del contribuente risale ormai a diciassette anni orsono, Causa Ravon et alii v. Francia, 21.2.2008).
La sentenza segna inoltre un profondo punto di rottura: l’art. 8 della CEDU è solo uno dei sei articoli della Convenzione sistematicamente violati dall’ordinamento tributario italiano. A questo sistema di diffusa illegittimità le Autorità nazionali sono chiamate a porre rimedio, non essendo necessario attendere ulteriori condanne emesse dai giudici di Strasburgo. Peraltro, anche i difensori tributari sono chiamati a fare la loro parte, sollecitando i giudici nazionali a adottare interpretazioni conformi alla CEDU laddove possibile, oppure a sollevare la questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 117 della Costituzione. Ferma restando la possibilità di tutela, dei soggetti patrocinati, rappresentata dal ricorso alla Corte EDU, anche per saltum al cospetto dell’assenza di un rimedio giurisdizionale nazionale effettivo.