L’assoluzione penale comporta il venir meno delle sole sanzioni tributarie
di Andrea Gaeta e Lorenzo Romano
Nella sentenza n. 3800, depositata venerdì scorso, la Corte di cassazione ha (inaspettatamente) stabilito che la nuova norma sul ne bis in idem (articolo 21-bis del Dlgs n. 74/2000) non riguarda l’imposta accertata ma le sole sanzioni amministrative.
Occorre ricordare che, in base all’articolo 21-bis del Dlgs n. 74/2000, introdotto dal Dlgs n. 87/2024, «la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi».
Le conclusioni della Corte, poggiano, oltre che sulla collocazione dell’intervento nell’ambito della riforma delle sanzioni (articolo 20 della L. 111/2023), su un dato testuale. Il terzo comma dell’articolo 21-bis prevede che l’assoluzione del rappresentante (persona fisica) rileva «anche» nei confronti dell’imprenditore o della società nel cui interesse tale rappresentante ha agito: secondo la Cassazione, l’«anche» si spiegherebbe solo in chiave sanzionatoria, perché l’accertamento del tributo non si riferisce al rappresentante.
Nella seconda parte della motivazione (§ 19 ss.), la Corte espone una serie di argomentazioni che confermerebbero la soluzione adottata:
- l’articolo 21-bis si applica anche ai giudizi in corso e la scelta di non derogare al favor rei dipende dalle criticità del sistema nazionale sanzionatorio. L’argomento non è decisivo, perché la medesima scelta legislativa è compatibile anche con l’efficacia assolutoria delle sentenze penali rispetto alle imposte;
- l’assoluzione penale spiega effetti nel procedimento tributario solo se i fatti materiali sono gli stessi, ma i processi hanno oggetti diversi e nel processo penale occorre riferire la formula assolutoria al capo d’imputazione. In realtà la novella si occupa di questo aspetto nella parte in cui esige, affinché il giudicato penale operi nel processo tributario, che i fatti materiali accertati siano gli stessi oggetto dell’atto impositivo; e, poiché le soglie di punibilità non integrano dei «fatti materiali», l’esempio (§ 20.4) dell’assoluzione per mancato superamento non pare appropriato;
- per giurisprudenza consolidata, l’assoluzione ai sensi dell’articolo 530, comma 2, c.p.p. non esplica efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Tale obiezione però potrebbe tutt’al più suggerire un’interpretazione restrittiva della nozione rilevante di “assoluzione”, ma non giustifica la soluzione prescelta;
- i procedimenti sono autonomi e hanno oggetti diversi. Qui, semplicemente, viene esclusa a priori l’ipotesi che il legislatore abbia voluto introdurre una norma di significato diverso da quello prescelto dalla Corte;
- il regime di deducibilità del giudicato penale in Cassazione: si tratta di un’argomentazione irrilevante ai fini della decisione;
- in materia di frodi Iva il giudicato penale non può vincolare il giudice tributario. Il punto è quello che forse più di tutti meriterebbe approfondimento, ma in questa sede basti considerare che per sostenere tale conclusione la Corte cita una sentenza della Corte di Giustizia UE (Vueling) che nulla ha a che fare con la materia tributaria, rovesciando il rapporto tra l’eccezione (la disapplicazione del giudicato) e la regola (la sua stabilità), che la giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce come valore fondante di civiltà giuridica, salvo casi “limite”;
- il processo penale riguarda solo le evasioni più rilevanti (quasi che subire un processo ed esserne assolti sia un’“agevolazione”…), l’Amministrazione finanziaria non è parte (eppure vi è la possibilità di costituzione di parte civile) e non vi è spazio per le presunzioni legali. Che dire, allora, di quella norma (l’articolo 14-bis, comma 4-bis, della L. n. 537/1993), che prevede che l’assoluzione irrevocabile in sede penale comporta il rimborso delle maggiori imposte versate per effetto dell’indeducibilità dei cd. costi da reato? È forse incostituzionale?
In realtà, l’articolo 21-bis pone l’accento sui «fatti» (parola ripetuta due volte) e non certo solo sulle sanzioni: sono i fatti materiali che vengono accertati nel dibattimento e che, una volta accertati, «in coerenza con i principi generali dell'ordinamento» (così la legge delega) fanno stato nel processo tributario. Per usare il linguaggio della sentenza: sono i fatti oggetto della “cognizione”, non le sanzioni.
A fronte della poco condivisibile interpretazione riduttiva della Cassazione, l’auspicio è che il legislatore intervenga quanto prima con una norma di interpretazione autentica, chiarendo che lo scopo perseguito dalla riforma è quello di introdurre una relazione di causa-effetto (previa accurata verifica dell’identità dei fatti materiali) tra assoluzione dibattimentale penale e processo tributario, con riguardo all’intero oggetto di quest’ultimo.